Libero arbitrio (ma anche no) |1

Questo è il primo intervento squisitamente filosofico, dove non si fa accenno alle cripto, fatevene una ragione. Per placare la vostra criptosete ricordo che avete sempre le voci cosa, come, dove, perché, quando e quanto?

 

images2La tesi viene qui presentata nella sua forma più scarna, puerile e trasmissibile (ci stiamo lavorando da settordici anni), senza fare riferimento ad altri pensatori o testi, e sarà soggetta a future specificazioni, integrazioni, ulteriori masturbazioni quando non violenze vere e proprie.

RAZIONALE

Percepiamo il nostro presente come razionale. Per razionale si intende qui la reale o presunta facoltà di scegliere consapevolmente tra un determinato numero di possibilità, parallele, alternative o esclusive tra esse. [ES: andiamo al cinema e poi al bar; andiamo al cinema ma non al bar; andiamo a giocare a calcetto invece che andare al cinema, eccetera eccetera].

La ragione non ha in sé la ragione (della scelta).

La nostra scelta non può essere randomica o casuale, ma deve essere necessariamente polarizzata, deve in altre parole avere “senso” per noi. Di fatto, ogni scelta reale o presunta non può essere in rottura (o meglio, non attinente) con quello che siamo (personalità, esperienza, etc) ma deve necessariamente essere in continuità (o meglio, attinente) con quello che siamo (personalità, esperienza, etc). [ES: possiamo scegliere in rottura col nostro passato, ma la scelta di rottura deve essere attinente con quello che siamo (ergo percepienti più senso nella rottura che nella continuità)].

Il senso è in altro (dalla ragione).

Il presente (ovvero la nostra presenza razionalmente consapevole) è caratterizzato dunque dal presentarsi (divenire presenti, appunto) di possibilità. Queste possibilità “si incarnano”, ci emozionano (tanto o poco, in un certo grado tra l’irrilevante e l’estremamente rilevante).

PRE-RAZIONALE

Ciò che viene percepito nel presente del soggetto (non ci soffermeremo qui sulla differenza tra individuo e soggetto) come possibile, dunque “il possibile”, sollecita un presente (una presenza) non meramente razionale del soggetto, ma si incarna appunto, entra in profondità coinvolgendolo nel suo presente (nella sua presenza) pre-razionale (non approfondiamo qui se questo sia emotivo o di altra natura, pur ipotizzandolo). “Pre” non è da intendersi meramente in termini cronologici, quando piuttosto come sistema coesistente interagente con quello razionale (necessario dal nostro punto di vista per dare “senso” al presente del soggetto in termini di individuo con reale o presunta facoltà di scelta).

Il possibile ha senso (lo prende o lo perde).

Incarnandosi nel pre-razionale (si potrebbe azzardare individuale ma pre-soggettivo) del soggetto il possibile letteralmente viene polarizzato, guadagna o perde senso, acquista un grado di senso tra l’irrilevante e l’estremamente rilevante. Non si indagherà qui come detto sulla natura del pre-razionale (emotiva, coinvolgente la struttura della personalità e il carattere, la storia e la memoria dell’individuo), ma ci si limita ad affermare che è il passaggio nel pre-razionale a caricare (o scaricare) di senso il possibile.

POST-PRE-RAZIONALE (o semplicemente, e nuovamente, RAZIONALE)

Il possibile torna a galla (come preferenza).

A caricamento di senso avvenuto siamo letteralmente consapevoli delle nostre possibilità, tra le possibilità che si sono presentate preferiamo questo piuttosto che quello e, a quanto pare, percepiamo noi stessi come realmente o presumibilmente liberi di scegliere indifferentemente tra differenti possibilità, e chiamiamo questo “libero arbitrio”. Vorremo porre qui una questione: l’intervento del pre-razionale esclude il libero arbitrio inteso come il “tra varie possibilità faccio il pazzo che mi care”. Non è possibile scegliere “liberamente” se liberamente significa “razionalmente”. O meglio: anche ipotizzando che la scelta sia libera, dunque razionale, tra varie possibilità, il fatto che queste possibilità siano polarizzate, abbiano dunque più o meno senso per noi, non rende la scelta stessa “libera”, razionalmente eleggibile (fate sceglibile) [ES: abbiamo la possibilità di dormire in un loculo o in una stanza: se siamo claustrofobici la nostra libera scelta è solo presunta (non ci sono impedimenti) ma non reale (il terrore è un discreto deterrente alla scelta)].

Fino a qui, tutto bene.

Ma si continua a cadere. E se in realtà cadesse anche il mito della, reale o presunta, libera scelta tra possibilità polarizzate, con più o meno senso per noi? E se in continuità con il regno naturale non avessimo nessuna libera scelta, ma fossimo vincolati a scegliere ciò che, per usare la terminologia di cui sopra, “ha più senso per noi”? Con ciò  intendendo “ha più senso per quello che siamo nel metro e nella misura del presente contesto in cui siamo inseriti (e tanto per dire a partire dalla nostra emotività, personalità e carattere, storia e memoria)”, lasciando alla ragione l’unico ruolo di “mettere insieme i pezzi”, risolvere problemi creando nuove possibilità connettendo le presenti e le passate, rivalutando le future laddove la polarizzazione sia incerta (sotto una certa soglia di predominanza o convinzione). [ES: l’offerta di un lavoro desiderato implica l’abbandono di una persona amata. Qui nei termini di cui sopra la possibilità è polarizzata in modo ambiguo, il senso non è univoco, ciò viene percepito come un problema, pone il soggetto in stato problematico, critico, che fare? Qui entra in gioco la ragione, cercando una soluzione: proporre alla persona di seguirci o un rapporto a distanza, proporre agli offerenti un lavoro a distanza, etc. Tutte queste nuove possibilità, create dalla ragione (attraverso un vero e proprio atto di creazione) divengono va da sé oggetto di nuova attribuzione di senso, fino al momento in cui ci sarà superamento di una soglia di predominanza (convinzione) di un’opzione piuttosto che l’altra o il contesto obbligherà alla scelta per scadenza dell’offerta (anche non scegliere fa parte della scelta)] [ES2: andare al cinema o al calcetto? Qui nei termini di cui sopra ciascuna delle due possibilità è polarizzata, caricata con un grado di senso. La valutazione non è dunque razionale, ma razionale è la connessione con altre possibilità (se andiamo al calcetto arrivare al bar prima e possiamo incontrare X), operazione che potrebbe ripetersi fino al momento del superamento di una certa soglia di predominanza (convinzione) di un’opzione piuttosto che un’altra, eccetera eccetera].

Dopo questa suggestione, vi lasciamo con il tarlo di cominciare a far caso in quale metro e misura nelle vostre vite le scelte siano “libere”, con ciò intendendo non la mancanza di vincoli, ma il grado di razionalità della scelta stessa. Il “gesto estremo” è sintomatico di questo: chi non lo commette è convinto di essere libero di poterlo fare, con ciò intendendo l’assenza di vincoli fisici. La realtà è che se non viene commesso la ragione riposa nel fatto che non vi è abbastanza senso nel farlo: si è ancora attaccati alla vita. Viceversa, chi lo commette non ha scelta, la sua vita letteralmente (dal punto di vista del soggetto) ha perso il senso. Il suicidio, inteso comunemente come la massima espressione del libero arbitrio, è di fatto la sua più grande negazione: il soggetto ha la possibilità di vivere (possibilità intesa come assenza di vincolo per continuare a vivere) ma non ne ha la potenza (o possibilità intesa come superante le minima soglia per rendere la vita “sensata”).

Sotto questo rispetto, tutto ciò che avete fatto, fate o farete, aveva, ha e avrà il suo senso. Tutto ciò che non avete fatto, non fate o non farete, non aveva, non ha e non avrà abbastanza senso per quello che siete stato, siete o sarete. Se perdere del tempo ad approfondire il contesto socio-politico ed economico nel quale siete inseriti per voi non ha senso, fatevi delle domande su quello che siete diventati.

 

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