Previously on “Libero arbitrio (ma anche no)”
- Razionale: la reale o presunta facoltà di scegliere “liberamente” tra differenti possibilità.
- Senso: la scelta non può essere randomica, deve avere “senso”.
- Presenza: il presente è popolato da possibilità che si “incarnano”.
- Individuo/soggetto: dotato di una presenza “pre-razionale”.
- Polarizzazione: incarnandosi nel pre-razionale il possibile prende il suo “senso”.
- non si sceglie tra possibilità neutre, ma la possibilità (o meglio i futuri possibili) è già stata digerita, ergo polarizzata;
- tra possibilità polarizzate (ipotizzando esclusività) scelgo necessariamente (ergo, non scelgo) la possibilità con il maggior carico di senso (a titolo di ipotesi: scelgo – o meglio, non scelgo ma faccio – di fare nel tempo x l’azione y con le conseguenze z che si ripercuoto sul resto del reale che sperimento).
- ciascuna possibilità è polarizzata;
- scelta (non-scelta) per la possibilità maggiormente carica.
Questo modello, puerile, è solo una rappresentazione statica di primissima mano, ergo molto grezza, di quella che è la complessità del reale. Una rappresentazione meno puerile non può scampare un approccio dinamico. Sotto questo rispetto si riprenda dall’ipotesi di cui sopra: scelgo – o meglio, non scelgo ma faccio – di fare nel tempo x l’azione y con le conseguenze z che si ripercuotono sul resto del reale che sperimento).
- un doppio movimento, simultaneo, di interpretazione del mondo e dell’io (ci si concede l’utilizzo delle buone vecchie categorie dei bei tempi andati di una volta): contemporaneamente attraverso la percezione: 1. “ordino” la realtà (incarnandola tramite la percezione per razionalizzarla) inserendola in schemi che la rendono intellegibile (razionale) presentandomela non come un aggregato grezzo e spurio ma come un campo di possibilità (polarizzate); 2. (a) “analizzo” razionalmente le conseguenze di ciascuna possibilità polarizzata (o meglio, ciascun futuro possibile, posta la concatenazione indissolubile del reale) e [in condizione di incertezza a partire dall’imprescindibile essere-in-fase-di-sviluppo (sì, coglioniamo Heidegger), ergo sempre sottoposta a innalzamento o abbassamento della carica di polarizzazione (emotiva) che eventualmente ci impone di scegliere (dunque di non scegliere, ma fare) una cosa piuttosto che un’altra (ci costringe ad un futuro possibile in alternativa ad un altro)] (b) “rimpasto” questa stessa analisi (che si incarna al pari della realtà, non attraverso la percezione ma si ipotizza attraverso l’emozione che può modificare la carica (polarità) di un futuro possibile piuttosto che di un altro.
Non si può dunque scegliere razionalmente, nel senso che non è la ragione a scegliere, ma la ragione può influire sulla scelta nella misura in cui può, rimpastando il proprio operato (valutazione), modificare la polarità (grado di senso) dei futuri possibili.
In questo modello meno puerile, va da sé che i due movimenti non sono cronologicamente separabili (la vecchia storia dell’uovo e della gallina), ergo la costruzione del mondo (ergo, dell’io) attraverso analisi e scelte (o meglio, valutazioni e azioni) avviene integrandone la complessità dello stesso (ergo, dell’io – inteso qui in senso ampio come individuo/soggetto) ad ogni piè sospinto.
Una prima boutade, a conclusione di questo secondo episodio (analisi e approfondimenti seguiranno nelle prossime puntate, così come le implicazioni etiche ed economiche): non pare esserci alcun grado di libero arbitrio al livello di individuo/soggetto. L’animale razionale, nel suo dominio (quello della razionalità appunto) può al suo limite utilizzare la propria facoltà specifica (la razionalità, e sì, stiamo coglionando lo stagirita) per analizzare e valutare, grazie al connubio di memoria e immaginazione, le (ipotetiche) conseguenze delle possibilità che si presentano alla stessa ragione (detto altrimenti, dei futuri possibili). E’ lecito ammettere che la scelta sia autodeterminata, ergo sentita come libera, quando non direttamente eterodeterminata (vincolata da fattori esterni, tipo avere una pistola alla testa per capirci), ma tale sentore di libertà (che, ingenuamente, ci fa appunto sentire liberi) non implica una libertà intesa come incondizionata (puramente o direttamente razionale). Dunque, ancora una volta, non possiamo fare il pazzo che ci care, ma solo quello che ci pare abbia più senso (l’azione y) nello stadio evoluto personale al quale siamo pervenuti (nel momento x), a partire da una valutazione dei futuri possibili (le conseguenze z) che ciò porta seco. In breve: non scegliamo liberamente, ma siamo necessariamente scelti dalla complessità del reale che siamo (mondo più io).