Previously on “Libero arbitrio (ma anche no)”
- Si è, a torto o ragione, distinto tra individuo e soggetto: si precisa che non si tratta di due entità separate (sebbene alcune funzioni possano sembrare appartenenti in parte o in toto ad un dominio piuttosto che all’altro) bensì di due fasi dell’individuo medesimo: la fase pre-razionale e quella razionale (o meglio le fasi pre-soggettiva e soggettiva dell’individuo);
- si è ipotizzato che ciò che è libero, ergo incondizionato, non possa che appartenere alla fase razionale, e che a quest’ultima possa applicarsi la soluzioni di problemi attraverso la possibilizzazione (creazione di futuri possibili) ma non la scelta;
- la problematizzazione prima, e la scelta poi, si è ipotizzato appartengano alla fase individuale pre-soggettiva (da intendersi non in senso cronologico): i problemi sono tali per l’individuo, così come la scelta (che avviene per polarizzazione) tra le varie soluzioni (pur costruite razionalmente, dunque incondizionate, ergo “libere”).
Dunque, ancora una volta: le soluzioni pur costruite “liberamente” sono polarizzate “necessariamente”, e l’idea rimane quella che, si vedano le puntate precedenti, noi si sia obbligati e scegliere quella che per noi (individui e soggetti insieme) sia il futuro possibile maggiormente polarizzato o, detto altrimenti, carico di senso (o meglio che superi una qual certa soglia di senso relativamente alle altre possibilità esclusive, ma va bene così…).
Ci si permetta una dissertazione sulla questione della “scientificità” della cosa. Pare che l’ultimo decennio del novecento (quello dei Nirvana, per capirci) sia stato definito “il decennio del cervello”: una proliferazione brutta di roba neuroscientifica in riviste, periodici, siti, saggi d’ogni risma e chi più ne ha più ne metta di dita in gola per scampare a questa indigestione di piccole gioie cotidiane… Morale della favola? La nascita della neuroetica a metà tra la scienza e la filosofia; la caccia alla spiegazione della coscienza nella guerra guerreggiata tra i due poli del neuroscientifico (estremizzato nel fisicalismo in virtù del quale la mente viene ridotta al cervello) e del fenomenologico (estremizzato nello psicologismo in virtù del quale il pensiero è ben Harper rispetto all’organo); i problemoni relativi alla liceità del potenziamento cognitivo farmacologico; le menate forensi; le beghe sui neuroni specchio e, dulcis in fundo, un ritorno ai bei tempi andati di una volta, quando beltà splendea sugli occhi tuoi ridenti e fuggitivi: i tempi delle discussioni intorno al libero arbitrio. Ebbene?
Ebbene qualcosa a un certo punto è andato giù storto, perché i tempi non sembrano cambiati da quelli del vecchio Hobbes, tanto per citare un compatibilista a caso del nutrito gruppo che sminuendo il ruolo della coscienza lasciano il campo, più in toto che in parte, a “forze” anche inconsce che guidano l’individuo a performare l’azione (ma compatibilmente appunto con una qual certa forma di arbitrio non troppo libero ma un poco sì). Non troppo diversamente fecero i Locke e i Mill allora, non diversamente fanno i Dennett, i Davidson e i Kapitan oggi. Tanto per cambiare “la libertà ci pare indispensabile per dirci responsabili delle nostre decisioni e delle nostre azioni e per dare senso a nozioni come quelle di responsabilità, merito, biasimo, punizione e retribuzione” (De Caro et al, 2010). Che si tratti dei Burns e dei Bechara, dei Gomes e degli Haggard, dei Sie e dei Wouters, dei Juth e dei Lorentzon da un lato, oppure dei Legrenzi e degli Umiltà, degli Straus o dei Fuchs dall’altro, una cosa emerge prepotente al di fuori di ciascuna discussione: il problema non pare aver avuto alcuna soluzione.
Dalle congetture di Merleau-Ponty (sempre sia lodato) agli esperimenti a cranio aperto e cronometro alla mano di Libet, passando per i Searle e i Montague, per concludere con i Damasio, non pare esserci all’orizzonte, sia esso filosofico o neuroscientifico, una soluzione convincente al problema. Impossibile da dare? Forse solo all’interno di un qual certo paradigma. Si recuperi giusto una posizione tra gli ultimi nominati, giusto per inquadrare un attimo quel che noialtri si è sostenuto nelle puntate precedenti, anche se in maniera del tutto naive e non certo scientifica.
“Fa parte della nostra esperienza cosciente trovarci in situazioni in cui le cause delle nostre decisioni e delle nostre azioni, sotto forma di ragioni a loro favore, non sono sufficienti a determinare la decisione e l’azione effettiva… In breve, c’è uno iato tra le cause della decisione e dell’azione, che hanno la forma di ragioni, e l’effettivo raggiungimento della decisione, o l’esecuzione dell’azione.” […] Le cause puramente psicologiche delle nostre azioni spesso non sono causalmente sufficienti a determinarle. Tuttavia, questo lascia ancora aperta la questione più profonda di come stiano le cose al livello della neurobiologia soggiacente… Finora abbiamo assunto che, a ogni dato istante, lo stato della coscienza di una persona sia del tutto determinato causalmente dalla sua neurobiologia. Ora sosteniamo che gli stati coscienti in genere non siano sufficienti a determinare la decisione e l’azione. […] Il libertarismo psicologico, quale l’ho definito, è probabilmente vero. Secondo questa tesi, i nostri stati psicologici… non sono in ogni circostanza causalmente sufficienti a determinare l’azione susseguente… Ciò equivale a dire che lo iato è, dal punto di vista psicologico, reale, che non è cioè una mera illusione… Ogni mutamento di stato psicologico richiederebbe un mutamento dell’attività cerebrale… Lo psicologico non è che il neurobiologico a un livello più elevato di descrizione” (Searle, 2005)
Riassumendo:
- non diversamente da quanto sostenuto nelle puntate precedenti con “la ragione non ha in sé la ragione” e altre amenità nostrane, Searle opina che le cause della decisione non sono sufficienti a determinare l’azione, c’è uno iato;
- e aggiunge, o meglio ricorda, che la coscienza è determinata dalla neurobiologia;
- ergo (per mera logica, che l’autore pare confermare di seguito) lo iato non può che essere sia psicologico che neurologico.
“Per attribuire allo iato una realtà non solo psicologica ma anche neurobiologica, dobbiamo supporre allora, allo stato attuale della fisica e della neurobiologia, che vi sia una componente quantistica nella spiegazione della coscienza. […] L’esistenza dello iato non è un tratto fenotipico trascurabile, come l’esistenza dell’appendice. Dal punto di vista evolutivo, sembrerebbe un risultato assurdo che si debbano avere intense esperienze di libertà senza alcun vantaggio biologico concreto. Lo iato implica un rilevante investimento biologico da parte di organismi come gli esseri umani e gli animali superiori. Una porzione enorme dell’economia biologica dell’organismo è destinata all’elaborazione cosciente di decisioni razionali.” (Searle, 2005)
E’ chiaro qual è la questione? Il paradigma in voga, che scava nella quasi totalità della letteratura il solco tra il neurologico e lo psicologico per cercare di dare una ragione della coscienza e del libero arbitrio a partire dall’esistenza di entrambe queste realtà (talvolta reintroducendo dalla porta di dietro il dualismo del buon Cartesio nell’atto stesso di negarlo), sembra inadatto alla bisogna. E si finisce per appellarsi alla fisica quantistica, al Cristo in croce, alla padella e alla brace e chi più ne ha più ne metta di dita in gola, ancora una volta, per scampare a questa indigestione di spiegazioni “scientifiche”.
Ora non è questo il luogo e il tempo dove questionare il paradigma, ma ci si permetta quattro parole sulle cosa, giusto per. Individuo e soggetto, pre-soggettivo e soggettivo, pre-razionale e razionale non sono da intendersi, nella nostra proposta, due realtà differenti, quali cervello e mente, o neurobiologico e psicologico, ma la medesima realtà colta in due fasi differenti (dove fasi non è da intendersi in senso cronologico: le fasi coesistono simultaneamente). Probabilmente lo stesso linguaggio usato nelle puntate precedenti è esso stesso fuorviante. Quel che conta qui ed ora è affermare una coscienza che è una presenza sia del razionale che del pre-razionale (sia dell’individuo che del soggetto, o meglio, una presenza dove l’individuo è anche soggetto, dove l’individuo coglie se stesso), delle soluzioni e del grado di polarizzazione (leggasi senso) di ciascuna soluzione elaborata, e che se da un lato non sfugge alla necessità (si opina che l’individuo agisca in ogni tempo e luogo in forza della possibilità – del futuro possibile – che gode di maggior senso, o meglio, che supera di una qual certa soglia il differenziale di senso tra le varie possibilità, poiché tra due possibilità esclusive, poco differenti in termini di carica, può esservi indecisione o nessuna decisione) dall’altro distribuisce la necessità su un totale di opzioni (i futuri possibili) liberi.
Non è un risultato assurdo che si debbano avere intense esperienze di libertà senza alcun vantaggio biologico concreto, il vantaggio è tangibile e consiste nella libertà (pur se relativa, o meglio strutturalmente incondizionata, sebbene fino ad ora si sia intesa come assoluta) di partorire soluzioni “migliori” (adattativamente parlando). La porzione enorme dell’economia biologica dell’organismo non è destinata all’elaborazione cosciente di decisioni razionali, ma solo all’elaborazione di soluzioni razionali, già polarizzate nel momento della loro stessa genesi (è questo il senso del non-cronologico).
E questa non è né una pipa né una versione compatibilista. Non c’è più bisogno di salvare la libertà (vedi il De Caro di cui sopra) per dirci responsabili delle nostre decisioni delle nostre azioni: siamo responsabili come soggetti razionali di quel che partoriamo col ragionamento, siamo responsabili come individui per quello che scegliamo post-partum.
Ecco dunque il momento di buttare un occhio a quelle implicazioni etico politiche scansate qualche paginata addietro, ergo la fucking volontà fiat, nel prossimo avvincente episodio di “Libero arbitrio (ma anche no)”.
Questa serie è squisitamente filosofica, dove non si fa accenno alle cripto, fatevene una ragione. Per placare la vostra criptosete potete abbeverarvi alle voci cosa, come, dove, perché, quando e quanto?
Alessio, per na volta, no sta far el sega. Vei ala festa del to amico.